Il Cinquecento: chiesa riformata, eresia da estirpare
A partire dal 1555 si avvia a compimento la transizione del movimento valdese in Chiesa riformata, organizzata sul modello che Calvino aveva dato alla Chiesa di Ginevra. Alla base di tale modello c’è l’estensione del sacerdozio a tutti i credenti e l’assunzione, per alcuni, di compiti particolari (ministeri).
I valdesi non potevano immaginare che le Valli, sotto il controllo del re di Francia dal 1536, sarebbero state restituite nel 1559, grazie al trattato di pace di Cateau Cambrésis, al Duca di Savoia Emanuele Filiberto e che il governo sabaudo avrebbe dato inizio a un lungo tempo di persecuzioni. La dura repressione nei confronti dei valdesi era già stata messa in atto durante l’occupazione francese (ricordiamo per esempio l’ex cappuccino Giaffredo Varaglia diventato pastore di San Giovanni in val Pellice, arso vivo a Torino nel 1558), ma con i Savoia l’intento di eliminare l’eresia nelle terre riconquistate assumerà carattere sistematico.
La crescente minaccia di un intervento armato da parte ducale si concretizza nella guerra conclusa nel 1561 in modo favorevole per i valdesi: con la firma del trattato di pace di Cavour il Duca concede la libertà di culto all’interno delle Valli.
Diversa e ben più drammatica è la sorte dei valdesi nelle regioni del Mezzogiorno: in Calabria le persecuzioni, organizzate dall’Inquisizione e attuate dal braccio armato del governo vicereale, culminano con lo sterminio avvenuto nello stesso anno in cui in Piemonte si firma la pace di Cavour; in Irpinia e Puglia l’Inquisizione affida ai gesuiti la missione, durata fino al 1564, di estirpare l’eresia con la conversione.