Giorno 3: per gli sfollati

Settimana mondiale per la pace in Palestina e Israele 2024

Giorno 3: per gli sfollati

Si stima che l’85% della popolazione di Gaza, circa 1,93 milioni di individui, sia costretta a vivere in esilio. Quasi 1,4 milioni di sfollati cercano rifugio nelle sovraffollate terre del Vicino Oriente, esacerbandone la vulnerabilità. Prevenire gli spostamenti arbitrari e fornire protezione, assistenza e protezione duratura sono le soluzioni pensate dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari. Tali soluzioni per gli sfollati non sono né facoltative né atti di carità: secondo il diritto internazionale sono gli obblighi a cui deve sottoporsi Israele, in quanto potenza occupante. Le vite dei palestinesi non sono semplici statistiche. Sono famiglie che lottano per sopravvivere, incontrarsi, che hanno persone care morte, sono bambini che cercano di trovare la gioia in mezzo a traumi inimmaginabili. La Terra Santa ha disperatamente bisogno di un cessate il fuoco immediato e permanente, unito a misure significative per documentare le responsabilità per tutte le atrocità che sono state commesse. Per raggiungere una vera pace per entrambi i popoli della Palestina e di Israele, è necessario avere come obiettivo finale una convivenza basata sulla giustizia, invece che sul potere militare, creando una situazione in cui il diritto internazionale venga applicato in modo coerente e senza parzialità. Il viaggio da Gaza City a Rafah attraversando i confini – Una testimonianza di Mayadah Tarazi [una responsabile dell’YWCA della Palestina] Il 5 aprile 2024 è stato il giorno in cui un gruppo di 20 persone, tra cui parte della mia famiglia, ha deciso di andarsene dal rifugio della Chiesa della Sacra Famiglia. Dopo quasi sette mesi di resistenza hanno deciso di lasciare la loro amata patria. La sono nati e cresciuti, hanno ricevuto l’istruzione, hanno lavorato: insomma hanno
vissuto sempre a Gaza City, ma la situazione non era più sostenibile. Tra gli altri, anche mia zia di 82 anni ha deciso di lasciare Gaza con suo figlio e sua nuora e i loro gemelli di 11 anni. La loro decisione è stata presa dopo la morte del marito di mia zia, quando lei ha perso la sua casa e gran parte delle sue cose. Il marito della zia è morto a causa della mancanza di farmaci mentre erano rifugiati in chiesa, riparati per lungo tempo senza cibo adeguato, senza acqua, senza farmaci e niente elettricità. Il viaggio è stato molto duro e rischioso. E’ stato necessario farne gran parte a piedi: nessuna macchina poteva circolare perché le strade erano state completamente danneggiate. Hanno dovuto attraversare a piedi un posto di blocco militare israeliano, un posto di blocco che per qualche motivo era rimasto chiuso per un po’ di tempo. Mentre passavano sono iniziati gli spari verso le persone che camminavano e per miracolo sono riusciti ad attraversare il posto di blocco senza essere colpiti. Dopo oltre otto ore di cammino, hanno finalmente raggiunto il valico di frontiera di Rafah, che purtroppo era chiuso. Hanno trascorso ore ad aspettare, sperando che il confine si aprisse. Dopo altre ore di attesa e alcune procedure tra il confine palestinese ed egiziano per il controllo e il rinnovo dei passaporti, finalmente sono riusciti a passare. Poi hanno viaggiato per 6 ore in autobus fino al Cairo.
Il giorno dopo sono arrivati in Bahrein, dove vive la figlia di mia zia. Desiderava ardentemente rivedere sua madre, suo fratello e la sua famiglia, l’incontro ha suscitato lacrime di felicità nel vedere la madre sana e salva e lacrime di tristezza per la perdita del padre che era morto all’inizio di novembre. L’ultima volta che aveva visto suo padre era stato 10 anni prima, quando aveva visitato la sua casa a Gaza. Dopo quasi sette mesi, la famiglia ha potuto fare una doccia decente, dormire su un letto normale, mangiare pane e cibo appropriati, proprio come tutte le altre persone in qualsiasi altro Paese. Mia zia mi ha raccontato che la prima cosa che ha visto e mangiato quando sono arrivati sono stati i cetrioli; non li vedeva da tanto tempo, prima di tutto a causa del prezzo, che era diventato altissimo (circa 30 dollari per un chilo di cetrioli), e poi erano del tutto spariti. La zia ha anche raccontato che mentre camminavano, hanno scoperto che Gaza era totalmente distrutta…totalmente sparita. In particolare lungo il sentiero del mare, hanno visto che non era rimasto più nulla dei bar o ristoranti, case, edifici. Non c’era alcun segno di vita… Era tutto sparito e vuoto… La moglie di mio cugino ha raccontato: “il due aprile è stato il giorno più difficile da quando c’è stato l’inizio di questa guerra, la prima volta che abbiamo camminato con i carri armati militari israeliani accanto a noi, e non potevamo credere di essere arrivati al valico di frontiera dopo quello che avevamo visto. Stavamo cercando di darci reciprocamente speranza per andare avanti; per il momento non siamo in grado di superare la stanchezza, la paura e l’umiliazione che abbiamo subito in questi mesi. Che Dio dia forza alle persone che percorreranno lo stesso cammino.” Suor Nabila, direttrice della Rosary Sister’s School, era nello stesso gruppo che lasciava Gaza insieme ai miei parenti. Ha raccontato il viaggio di tormento e umiliazione da Gaza City verso sud, fino al valico di Rafah. “Arrivare alla rotonda di Nabulsiyeh sulla spiaggia è stato un miracolo. Dopo essere arrivati, è cominciato il peggio, quando è iniziata una sparatoria sopra le nostre teste. Poi i carri armati ci hanno rapidamente circondato, lanciando sabbia e fango fino a quasi seppellirci. Avremmo voluto tornare alla morte del rifugio, dove ci sentivamo più a nostro agio, ma loro ci hanno impedito qualsiasi movimento e ci hanno trattenuti in quella situazione per alcune ore. Poi ci hanno lasciato passare attraverso i cancelli. Ci siamo dovuti sbarazzare delle nostre borse e degli effetti personali dopo che erano stati sepolti e non avevamo la possibilità di trasportarli. Poi abbiamo fatto una lunga camminata e siamo giunti al confine quando ormai era buio.” Dal 7 ottobre, dopo aver lasciato le loro case e aver trovato rifugio nella chiesa, le loro vite sono cambiate totalmente. Preghiamo affinché Dio protegga tutte le persone che sono ancora a Gaza e che insistono nel non voler partire dalla loro terra.

Preghiamo:

14 Egli mantiene la pace entro i tuoi confini, ti sazia con frumento scelto. 15 Egli manda i suoi ordini sulla terra, la sua parola corre velocissima. (Salmo 147,14-15)

Abbi pietà, o Signore. La pace è a portata di mano, come la porta dove è disponibile il grano per gli affamati. Ma dov’è? Dov’è la pace quando non possiamo attraversare il confine? Dov’è il grano che nutrirà i bambini? In quali mani l’hai messo? Oh Signore, ci sono persone che invece di dare il pane stanno dando la morte. Non hanno tenuto al sicuro i tuoi figli. Per favore, o Signore, non lasciare la storia nelle mani di chi è interiormente morto e vuole che gli altri siano morti. Per favore salva la tua creazione, i tuoi figli, dal male degli altri tuoi figli. Abbi pietà, o Signore.

 

Per ascoltare la lettura dei materiali con interviste e commenti: RBE – Voce delle chiese

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Giorno 1: per le vittime

Settimana mondiale per la pace in Palestina e Israele 2024

Giorno 1: per le vittime

Il bilancio totale delle vittime di Israele è di 1.410 morti, di cui, 1.139 sono stati uccisi negli attacchi del 7 ottobre 2023, inoltre, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (d’ora in poi UNOCHA), sempre il 7 ottobre sono state ferite almeno altre 1.271 persone.

Come pubblicato sempre dall’UNOCHA, almeno 40.000 palestinesi sono stati uccisi in 10 mesi, di cui almeno 10.627 bambini, (663 di età inferiore a un anno). Secondo l’OMS, dal 7 ottobre alla fine di aprile 2024, ci sono stati oltre ai 40.000 morti, anche 78.000 feriti a Gaza e ogni giorno la guerra miete ulteriori vittime civili. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro stima che, fino ad oggi, il 25% delle persone uccise a Gaza siano stati uomini in età lavorativa. Inoltre, Israele non dichiara il numero di palestinesi che arresta e chiude in campi di detenzione in condizioni subumane, luoghi dove vige la tortura, e dove le persone vivono senza diritti legali e senza un giusto processo. Come cristiani, siamo chiamati/e a incarnare i principi di giustizia, pace e sicurezza in tutti i loro aspetti: quelli economici e in quelli sociali. La nostra fede ci obbliga a rispondere alle grida di sofferenza e a lavorare per una pace e una giustizia durature. La crisi attuale ci ricorda la nostra responsabilità di difendere coloro che sono in difficoltà e di usare la nostra voce collettiva per chiedere la fine della violenza e l’instaurazione di una pace duratura. Anche in tempi di oscurità e di disperazione, la nostra fede ci chiama a mantenere la speranza, anche quando vediamo le ingiustizie nel mondo, a fornire accompagnamento alle vittime e a rinnovare gli sforzi per una pace giusta per tutti e tutte.

Preghiamo:

3 Non confidate nei prìncipi, né in alcun figlio d’uomo, che non può salvare. 4 Il suo fiato se ne va, ed egli ritorna alla sua terra; in quel giorno periscono i suoi progetti. 7 Il Signore rende giustizia agli oppressi, dà il cibo agli affamati. Il Signore libera i prigionieri (Salmo 146,3-4.7)

Abbi misericordia, Signore. Su di te abbiamo fatto affidamento. Non su coloro che il mondo definisce vincenti, non sugli esseri umani. Essi non possono offrire la salvezza, sono loro che portano la guerra. La nostra unica fiducia è in te, Signore nostro. Fai giustizia agli oppressi, dai il pane agli affamati, allenta le catene dei prigionieri. Vieni, Signore, presto, a Gaza, a Rafah, e a tutte le persone che vivono in Terrasanta. C’è chi si è dimenticato di Te e si è perso lungo la strada della morte. Ti preghiamo, salvali Signore. Amen.

 

Per ascoltare la lettura dei materiali con interviste e commenti: RBE – Voce delle chiese

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Settimana mondiale per la pace in Palestina e Israele: preghiera e impegno

Raccogliendo l’invito del Consiglio Ecumenico delle Chiese, fatto proprio anche dal Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi, anche la nostra comunità aderisce con convinzione alla Settimana mondiale per la pace in Palestina e Israele 2024, in cui le chiese, le comunità di fede e le organizzazioni della società civile di tutto il mondo si uniranno nella preghiera per una pace giusta per tutti e tutte in Palestina e Israele.

Lo facciamo perché siamo consapevoli di vivere in un tempo in cui la tentazione di lasciarci trascinare nelle polarizzazioni e nelle divisioni che questo tema delicato e complesso porta con sé, e nel quale allora la preghiera comune diventa ancora più importante, perché significa credere nella possibilità del cambiamento, nel fatto che Dio possa fare la differenza, nella possibilità del ravvedimento e della conversione.

 

Preghiera, dunque, ma al tempo stesso anche informazione, approfondimento e riflessione, perché crediamo che tutte queste cose debbano sempre andare insieme. Come lo faremo? In quattro modi diversi:

 

L’approfondimento e la preghiera quotidiana. Pubblicheremo sul nostro sito web e sulla nostra pagina Facebook i materiali per l’approfondimento e la preghiera proposti per ogni giorno della Settimana dal Consiglio Ecumenico delle Chiese. Sarà anche possibile ascoltarne la lettura, con interviste e commenti, all’interno del programma “Voce delle chiese” di RBE – Radio Beckwith Evangelica.

Il confronto con la storia e le radici del conflitto. Abbiamo chiesto a Paolo Naso (politologo, esperto di religione e politica, docente di Scienza politica alla Sapienza, Università di Roma e presso altri istituti universitari) di guidarci in una serata di approfondimento sulla Guerra dei cento anni. Mercoledì 18 settembre, ore 20.45, tempio valdese di Torre Pellice.

Il culto comunitario. Il nostro culto di domenica 22 settembre, giornata conclusiva della Settimana, sarà dedicato alla preghiera e alla riflessione biblica comunitaria sul tema della pace in Palestina e Israele.

L’impegno concreto. Abbiamo aderito e stiamo già raccogliendo i contributi alla sottoscrizione “Fermiamo l’odio, aiutiamo i costruttori di pace lanciata dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia in collaborazione con il Centro Studi Confronti, per contribuire all’invio di aiuti umanitari per Gaza, e per attivare progetti di dialogo per la convivenza e la pace tra israeliani e palestinesi.